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La città bianca



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Autore: GIANMARIA FERRANTE
Editore: GOLDEN PRESS GENOVA
Disponibilità: IMMEDIATA
Pagine: 150
ISBN: 978-88-89558-47-8
Prezzo: € 15,00
DESCRIZIONE

Il successivo volume di poesie “ La Città Bianca “, pubblicato da Goldenpress (Genova), rappresenta un passo ulteriore verso l’ampliamento della visione onirica e della capacità tecnica di trasporre cultura, idee, preveggenza in sintesi letteraria stilizzata, portata al limite di un confine posto tra il reale, il passato ed un futuro già affacciato sul presente. “La Città Bianca”, unitamente a “Mediterranea” ed alle opere che seguiranno, proiettano il lettore in una dimensione sempre più ampia ed articolata dove visione e rappresentazione della realtà, delle esperienze e dei messaggi onirici, partendo da un luogo e tempo definiti, si agganciano al nostra grande passato verso l’incerto futuro, raggiungendo una città definita, il Paese intero, il Mediterraneo, gli Inferi dei nostri Avi. La parola vi nasce libera, concentrata nella sua vera essenza, con tutta la sua naturale forza evocatrice, capace in poche battute di rappresentare una storia, creare visioni, richiamare personaggi affondati nel tempo.

L’Editore infatti indica in “La città bianca”...un limpido esempio di opera letteraria in poesia. Non una raccolta, in quanto evidenzia una, seppur complessa ed articolata, unità tematica mai disgiunta da un altrettanto compatto timbro espressivo. Si inserisce nel ricco filone del libro in versi che, almeno nel XX secolo, hanno saputo donare un ruolo qualificato e alto al genere poetico, fondendo in un blocco artistico unitario le esigenze narrativo-evocative e forti componenti di musicalità ritmica e semantica. Lo sfondo di una città scenograficamente perfetta e compiuta, allusione ad un luogo costantemente terreno e mentale nel contempo, tratteggia atmosfere rarefatte, in cui suoni e colori, implosivi e carichi di tensione, sembrano sempre sul punto di rivelarsi nelle proprie peculiarità assolute, nelle significazioni universali, ora rivolte all’umanità ora alla natura. Una città senza tempo nella quale, di lirica in lirica, si possono manifestare tutti i tempi possibili, seguendo le fascinazioni suggerite dalle cose, dagli accadimenti anche più impercettibili, minimali o contratti. Ma il tempo è anche il tempo della storia e include perplessità e smarrimenti dell’individuo che smarrisce i propri passi, il segno, le vestigia e rifiuta il gioco del reinventarsi, preferendo rimanere aggrappato alla natura di un sogno rapido ma immenso, sfuggente ma solido. La sinestesia, nel dettato lirico di Ferrante, è padrona incontrastata e sublime di versicoli nervosi, ardenti, intensi, in cui è una parola guida, per ciascuno di essi, a riempire la misura, e nel contempo a dettare il rigore di un ritmo continuo e gradevole, scorrevole come un palpito disteso. Altrove le immagini si fanno inquietanti, repentinamente orride, di un’allusività proteiforme che tira dietro di sé una catena pressoché infinita di simboli; si legga in proposito - dondola / inerte / la culla / abbandonata- a far da contraltare ad un o strumento come il carro, che apre la lirica nei termini di un dinamismo orfico e minaccioso. L’ossimoro, logico più che semantico, dell’accostamento morte-seno ( in Il cantore della morte ) ritorna in diversi momenti creando un luminoso attrito di emozioni che non accenna mai a tentare di risolvere la dicotomia tra bene e male; essi infatti appaiono come essenze compenetrate, privi di stacchi o di confini che il lettore cercherà inutilmente, scoprendo con piacere l’astensione del poeta da qualunque nota, o formula, riduttivamente risolutiva. Le dimensioni oniriche, fortemente pittoriche e cariche di allegorie pluricefale, avvolgono il lettore in un dedalo di immagini la cui crudezza è alimentata da un consapevole fonosimbolismo; omoteleuti e rimandi interni al significante, prevalentemente consonantici, dettano la misura angosciosa del sogno e la sua estrema componente visiva e immaginifica… La materia poetica è ovunque rielaborata, plasmata dal lavorio di una fucina interiore che ora compone le forme ora le osserva smarrita essa stessa,come l’animo del poeta di fronte al ruvido incanto; ferro più che pietra, sembra suggerire Ferrante, e pietra più che aria, rappresentata in genere in termini di vento e non di qualità del respiro. Infatti anche le manifestazioni della natura possiedono la stessa cupa severità; non c’è placido abbandono nella quiete del paesaggio: albe e tramonti muovono in condizioni antropomorfe, vitalizzate da continue ed efficaci personificazioni sempre nuove, sempre insospettabili ed originali… E se talora un timido accenno all’armonia delle cose tende a farsi strada nel panorama dell’osservazione, non è lunga la pace, interrotta invece, come capita, da crepiti, spari, manifestazioni ridondanti di una ferocia cosmica e inappellabile. Ad essa si adattano eccellenti figure come quella di Mario, il pazzo del trullo, di Ciccio la Sciaia con il suo gesto terragno e potente, di un monaco, del cadavere di un annegato, di un gendarme; oppure l’emergenza interiore dell’armigero che compare dal nulla, immobilizzato nel silenzio della propria sconfitta. La negazione della storia, anche se l’ambiente della “Città bianca” pare, lirica dopo lirica, farsi sempre più palpabile e reale, coincide con la negazione della narrazione; gli spunti sono ovunque uniformemente evocativi, suscitano visioni e scolpiscono immagini talmente fulminee da sovrastare, a tratti, la capacità di ricezione. Ma è un inganno, sapientemente manovrato dalla profonda interiorità dell’io poetico che sa fare del luogo specifico il non luogo del tutto, unendo il particolare all’universale in un gioco mescolato di presenze e assenze, di emersioni del tempo volutamente sfumate,… Ricorrenti i richiami al seno…così come al gufo, presenza quasi costante, intermittente segnale. E poi l’andatura ora traballante, ora zoppicante, di soggetti vari, talvolta imprecisati, in movimento; infine l’archetipico contrasto tra il bianco ed il rosso, la calce e la benzina, la terra e il dolore. Notevole il ritorno ciclico del portale, ora scosso con violenza da venti impetuosi, ora indicatore di direzioni inafferrabili, di partenze e ritorni, di reclusioni. …rari i riferimenti al rifugio amoroso, come -Trema il canto-; suggeriscono il valore delle brevi pause…accostabili all’esempio di comunicazione magica e remota rappresentato dall’assemblea degli alberi centenari, che celano nel proprio sussurro il segreto mistero delle loro decisioni, l’impenetrabilità di un codice altro, di respiro e ombre. Una poesia, quella di Ferrante, che sa farsi simbolo ad ogni scelta di parola, e pertanto sottende infinite proposte di suggestione a vantaggio di un cuore profondo, che sia in grado di accoglierle non con la curiosità della ricerca di un messaggio ma con la meraviglia di un disvelamento di brandelli di assoluto.

L’Autore evita, per quanto possibile, incontri letterari/politici di ogni tipo; vive abitualmente tra Roma, Milano, Bergamo, Ostuni. Incontra spesso giovani volontari, portatori del nuovo entusiasmo per la natura, provenienti da ogni parte del mondo, che passano brevi periodi nella sua azienda biologica. Può essere raggiunto tramite il proprio sito web:

www.ipoderidelsole.it
info@ipoderidelsole.it


 
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