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I Cavalieri di Groen



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Autore: GIANMARIA FERRANTE
Editore: GOLDEN PRESS GENOVA
Disponibilità: IMMEDIATA
Pagine: 160
ISBN: 978-88-99042-09-7
Prezzo: € 15,00
DESCRIZIONE

I segmenti legati di questo canto onirico, orfico e orrifico che ha titolo "I Cavalieri di Gröen, racchiudono i molteplici contrasti di uno snodo nar-rativo dalle forti tinte espressive.
Il primo contrasto è l'evidente negazione del racconto, laddove trucu-lente e crude immagini di delitti senza tempo, esecuzioni, sacrifici, condizioni sabbatiche, mefistofeliche, sataniche intuizioni, orrendi pasti ferini, bestiali ritrovi su frattaglie di un'umanità extratemporale, universale ed assoluta ma "afona", privata di parola, escludono qualsiasi parvenza di incidenza della storia. Una storia evocata a livello di simboli in numerosi richiami di grande fascino, dalle antiche strade di un medioevo di maniera, quasi archetipo del rapporto dell'esistenza in funzione del tempo che la accoglie e la nutre, ai sacrilegi di sapore barbaro che spazzano via con inaudita e compiaciuta violenza ogni scheggia di armonia classicheggiante, ogni forma lucidamente pagana, in cui il tempo è costantemente centrifugato e cortocircuitato, dissolto, in assalti, agguati, rapine ed esecuzioni.
Un altro, ben più importante, contrasto rispetto alle peculiarità onto-logiche del racconto, risiede nel fatto che, come nella migliore delle tradizioni tragiche, il sogno raccapricciante non mette mai di fronte all'azione ma alle conseguenze dell'azione; il lettore non assiste in nessun caso all'attacco, al ferimento, all'atto violento, ma è significativamente posto di fronte ai suoi effetti distruttivi, siano essi rivolti ad un albero carbonizzato da un fulmine o alla crudele menomazione di un arto, o della testa, di qualche malcapitato e non sempre precisato personaggio. Risaltano, certamente, i cavalieri con i loro "labari-vessilli-stendardi", e poi gli armigeri, gli inquisitori, le meretrici e molti altri, ma l'idea che si percepisce è che nessuno di essi valga autonomamente, o possieda la determinazione caratterizzante di un ruolo riconoscibile; sono segnacoli, pedine abbozzate di una scacchiera cangiante ed in continua evoluzione-involuzione.
La poesia di Ferrante pone senza mediazioni il lettore di fronte ad immagini di ecatombale efficacia, quasi volesse puntare l'accento sui lacerti sanguinolenti di un'umanità al termine del mondo, della storia, della fase di passaggio, evocata come conclusione catartica di millennio. A dare il via all'azione è spesso la comparsa, da chissà quale abisso oltretombale, di un cavaliere, di un uomo male in arnese, di una mostruosa figurina circense, quasi si trattasse di emersioni di antiche piante, epifania di radici antropo-morfe o di sezioni di armature ferree, valide nella loro logicità di segnali atemporali, come scossoni rigeneranti di materia vegetale o addirittura inerte.
I gabbiani ad esempio, squarcio di dinamismo candido, quando com-paiono sono feriti e il cielo che fa da sfondo al loro volo è plumbeo, il raggio che lo trapassa è nero. I luoghi sono validi in sé, nel mistero delle loro radici profonde, della loro funzionalità interna, siano essi accenno a fantomatiche periferie così come a foreste di confine, valichi di frontiera, terre di nessuno, marginali per definizione ed enigmatiche quanto rivelatrici di assunti esi-stenziali non definibili ma perfettamente percepibili. Tali luoghi sono, gioco-forza, popolati di mostri della storia, di rappresentazioni leggendarie. E c'è sempre quel millennio che finisce, nella dissoluzione più scenografica che si possa immaginare, rappresentata da tinte violente, dai forti contrasti cromati-ci, dalle asperità gotiche delle allusioni.
L'opera è suddivisa in tre grandi sezioni precedute da liriche introdut-tive e solitamente autonome rispetto all'impostazione narrativa e metrico-ritmica; ciascuno dei componimenti si compone di due versicoli isolati, in apertura ed in clausola, che racchiudono per lo più una terzina di ipermetri sintatticamente continui, con rare cesure intermedie, come un'esplosione da ascoltare tutta in un fiato, bilanciata tra lo spazio che la separa da un incipit breve e lo spazio successivo che prelude ad un altrettanto breve epilogo.
Colpisce, nel quadro fosco di determinazioni lessicali e di significanti solidali con l'atmosfera espressiva generale, la costante attenzione per la musicalità della parola emergente da legami allitteranti di pregevole studio costruttivo e di sorprendente resa sonora.


 
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